Cultura e identità nel rapporto Italia-Canada

Cultura e identità nel rapporto Italia-Canada

Estratto da un’intervista di Anna M. Zampieri Pan al prof. Francesco Loriggio 

 

     Ho incontrato il professor Francesco Loriggio qualche mese fa a Vancouver, durante una delle sue periodiche visite alle sorelle Mattea e Rosa.  Ad Ottawa, dove risiede ormai da decenni, è stato docente alla Carleton University dove ha tenuto corsi su ogni periodo della letteratura italiana, dal tredicesimo secolo al post-modernismo. L’ampia conversazione scambiata e la corrispondenza che ne è seguita hanno dato origine e corpo a due articoli pubblicati rispettivamente in novembre e dicembre 2011 dal Messaggero di sant’Antonio, la rivista mensile ad altissima tiratura che da Padova raggiunge centinaia di migliaia di lettori in Italia e nel mondo.  Nel primo articolo si è sottolineata l’importanza di conoscere e trasmettere “la storia e le storie”.  La seconda parte ha posto l’accento sul fenomeno emigratorio degli anni cinquanta-sessanta e su alcuni aspetti dell’attuale fuga dei giovani dall’Italia.  Quanto segue è la terza parte dell’intervista. (amz)


     Zampieri – La sua formazione umana e culturale è avvenuta in Nord America (Vancouver,  Los Angeles, New York, Ottawa) eppure lei è un esperto soprattutto di cultura italiana. Cultura non nel senso generico (usanze, tradizioni, modelli di vita) ma cultura come pensiero e comunicazione. Che cosa sta producendo oggi l’Italia in materia? E che cosa sta producendo il Canada?

Loriggio – In termini molto generali, senza deviare troppo dal mio campo di studi o abusare di competenze che non ho (l’Italia “produce” lungo l’intero arco disciplinare della cultura, dalla scienza alle arti plastiche), registrerei prima di tutto il ritorno alla ribalta, dopo un lungo appannamento, del cinema. Chi vuole ragguagliarsi sulla quotidianità italiana, al di là degli ultra-veloci e spesso stucchevoli servizi che vi dedicano i giornali e i notiziari, può – e  forse deve –  rivolgersi ai registi, ad Amelio, Moretti, Soldini, Muccino, Ozpetek,  Crialese, Sorrentino, Garrone, Martone . Come succedeva con  i Rossellini, De Sica, Fellini, Antonioni, Visconi, Monicelli degli anni cinquanta e degli anni sessanta, le loro opere (Il ladro di bambini, Il caimano, Pane e tulipani, L’ultimo bacio, Le fate ignoranti, Respiro, Il divo, Gomorra, Noi credevamo, per citare alcuni titoli) oggi fanno seria concorrenza alla narrativa letteraria, offrendo una rappresentazione insieme immediata e ponderata della realtà italiana.

     E che cosa nell’ambito più specifico della letteratura e della saggistica?

     Nell’ambito segnalerei due fenomeni: la presenza, nella letteratura degli ultimi due decenni, di autori di origine non italiana che scrivono in italiano e la ripresa nella saggistica del dibattito sull’identità italiana. Inutile dire, si tratta di segnalazioni interessate. L’avvento di scrittori “nuovi italiani”, sebbene sia molto discreto (i testi sono pubblicati spesso da piccole case editrici), scompagina il settore letterario, alterandone profondamente i connotati: introduce tra gli addetti ai lavori soggetti che prima non c’erano, che si avvalgono di un’ottica ignota all’Italia moderna, con la visuale di chi è al contempo fuori e dentro una cultura, e di un rapporto con la lingua tutto da valutare. La provenienza degli scrittori “nuovi italiani” può essere sub-sahariana, magrebina, medio-orientale, slava, sudamericana, più  o meno a latere dell’area romanza: quale sarà l’impatto finale?

     Per coloro che come me si occupano di letteratura italo-canadese, si aprono scenari di irresistibile suggestività. In un’Italia mondializzata dal suo interno, “planetaria”, secondo la felice locuzione del critico Armando Gnisci, cultura e territorio ormai non combaciano più perfettamente, e la stessa nozione di letteratura italiana è da resettare. È lecito domandarsi se quella nozione, rimaneggiata per essere all’altezza dei tempi, non possa oggi abbracciare testi scritti da emigrati italiani che scrivono in altri paesi, e in altre lingue, su contenuti che direttamente o indirettamente hanno un loro legame con la realtà o con la storia italiana.

     Il dibattito sull’identità osservato da “fuori d’Italia”: quali riflessioni ed esempi? 

     Negli ultimi anni il dibattito sull’identità lo si è abbordato sia aggiornando le varianti più tradizionali, che ponevano al centro della storia post-unitaria il dissidio tra Nord e Sud e miravano a riesumarne le radici risorgimentali, sia allargandone le coordinate per farle coincidere con il discorso sulla “mediterraneità” dell’Italia. Il filone di più ampio respiro ha insistito molto sui risvolti geografici, filosofici, socio-antropologici della discussione. Ma si è soffermato sulle ricadute culturali che può avere l’essere faccia a faccia con una natura che non si deve asservire per sopravvivere, come nel grande Nord del pianeta? Oppure l’abitare le coste di un mare che si può percorrere a piccolo cabotaggio (contro la preparazione tecnologica necessaria per sfidare l’oceano) e dove lo straniero è dietro l’angolo, ti viene incontro con assiduità, nel male ma anche nel bene? Sotto questo profilo, caratteristiche considerate sintomi di arretratezza, di scoraggiante primitività, si rivelano essere piuttosto tasselli di una concezione del mondo sconfitta, in contrasto con quella predominante.

     Per me la lettura di testi come L’identità meridionale di Mario Alcaro, Il pensiero meridiano di Franco Cassano, Arcipelago di Massimo Cacciari è stata un incitamento a chiudere il cerchio di un processo che risale al periodo dell’università. Durante i primi anni mi ero iscritto a corsi di letteratura anglo-americana e letteratura francese. Fu la scoperta dei romanzi di Pirandello, Pavese, Vittorini, Silone, Alvaro, Sciascia, delle poesie di Ungaretti e Quasimodo, che raccontavano la provincia o il villaggio – o parlavano di vicende simili alla mia – ad orientarmi verso l’italianistica. Tra gli autori italiani ho ammirato, per altre ragioni, Gadda, Manganelli, Malerba e Calvino, ma la lista di base è questa, con l’aggiunta del tardo Pasolini, di Volponi e, ancora dopo, degli scrittori italo-canadesi.

     Quali scrittori italocanadesi? e l’intreccio tra cultura italiana e cultura italocanadese?

     Pier Giorgio Di Cicco, Mary Di Michele, Mary Melfi, Nino Ricci, Peter Oliva, Carmine Starnino sono i miei preferiti. Il mio canone personale e la cultura contadina furono spazzati via dagli eventi e dal gusto.  Però la storia non è una freccia. Il dibattito sulla mediterraneità italiana ha conferito dignità intellettuale a gesti e comportamenti prima di segno negativo. Gli italocanadesi accudiscono ancora con molta cura al loro giardino: vi piantano legumi più che fiori. È il residuo di un passato in cui si riciclava ogni cosa e lo spreco era un peccato. Come la dieta mediterranea, che aveva pure essa a quell’epoca del coatto, oggi questi comportamenti s’inseriscono in una temperie in cui la frugalità, la sensibilità verso l’ambiente, la decrescita stanno lentamente riacquistando un valore positivo. Qui la cultura italiana, nella sua fattispecie meridionale, e la cultura italocanadese s’intrecciano con la cultura contadina. E viceversa. La comparsa degli scrittori immigrati  “canadesizza” la letteratura italiana installando in essa una dimensione multi-etnica e l’esistenza di scrittori italocanadesi “italianizza” la letteratura canadese, installando in essa ingredienti di matrice mediterraneo-contadina. Per me, in altre parole, anche nel Canada la novità sorge dalla molteplicità delle voci.

     Concluderei facendo notare semplicemente che, come in Italia, nel Quebec si assiste ad una grande rifioritura del cinema e menzionando, per chi è a caccia di narrativa nord-americana, due romanzieri del Canada inglese che in Italia meriterebbero miglior fortuna: Elizabeth May,  autrice di testi straordinariamente poetici, uno solo dei quali tradotto in italiano, e Mark Frutkin, autore di testi non meno belli, alcuni di argomento italiano: uno ha per protagonista Marco Polo, un altro è ambientato a Mantova tra Seicento e Settecento e nella Cremona di Stradivari.

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ANNA MARIA ZAMPIERI PAN 

Giornalista vicentina trasferitasi in Canada negli anni Ottanta. Dopo tre decenni di impegno nel settore dell’informazione in Italia, ha diretto (1983-1990) l’Eco d’Italia di Vancouver. Ha collaborato e tuttora collabora come freelance a giornali e riviste di emigrazione in Italia, Canada, Stati Uniti. Autrice di Missioni di ieri Frontiere di oggi (2007), Personaggi&Persone (2008), Presenze italiane in British Columbia (2009). Ha contribuito di recente al volume Veneti in Canada, Longo 2011.