Evangelizzazione, civilizzazione e religiosità nella costa del Pacifico canadese

Evangelizzazione, civilizzazione e religiosità nella costa del Pacifico canadese

Anna M. Zampieri Pan


PREMESSA



L’origine dei nativi che abitavano la zona del Pacific Northwest, dall’Oregon all’Alaska, non è mai stata completamente stabilita. La ricerca è tuttora in corso. Finora li si è creduti provenire dall’Asia e, attraversata la Siberia, avere utilizzato per passare in Alaska un piccolo istmo di terra in seguito sommerso dalle acque dello stretto di Bering. Successive ondate di migranti si disseminarono gradualmente nel continente americano, dal nord al sud. Qualunque fosse stata la loro provenienza, allo sbarco dei primi navigatori europei (1778 d.C.) l’enorme nordwest era abitato da differenti tribù, che parlavano differenti lingue e dialetti, e ognuna con una propria ricca cultura.
La loro religiosità può essere sintetizzata come segue: essenzialmente figli della natura, godevano delle sue forze in un’affinità quasi mistica. Vedevano infatti come un tutt’uno inscindibile uomo e natura, e la loro convinzione influenzava profondamente il loro modo di vivere. Secondo il loro credo, tutte le creature viventi condividono un mondo di mutua armonia e comprensione. I bambini venivano educati a rispettare, mai molestandole, tutte le creature viventi. Un antichissimo Totem-pole del vecchio villaggio Haida di Tanu illustrava graficamente questo concetto. Era conosciuto come “Weeping Totem Pole of Tanu” (il totem piangente di Tanu) e la leggenda che lo circondava fu raccontata attorno al fuoco molti anni prima dell’arrivo dell’europeo, “l’uomo bianco”. Anche oggi, nonostante i traumatici cambiamenti di vita occorsi in oltre due secoli, è rarissimo trovare, nelle case dei nativi, uccelli in gabbia o cani alla catena; e pochissimi sono i loro bimbi a manifestare interesse nella cattura e molestia di creature in libertàα, mentre quest’abitudine sembra far parte del processo di crescita dei bambini bianchi.
Al posto di città d’acciaio e di cemento, c’erano solamente villaggi sparsi lungo le coste dell’oceano e le rive dei fiumi. Non c’erano strade, solo pochi sentieri collegavano le strade d’acqua e raramente penetravano nelle fittissime foreste di cedri, abeti, hemlock e pini. I trasporti avvenivano a mezzo di canoe o a piedi, dal momento che i nativi non possedevano cavalli. Molte zone erano ricoperte da vaste paludi, abitate da infinite varietà di uccelli acquatici. La maggior parte di tali aree è oggi prosciugata in favore di fattorie agricole, sviluppo edilizio, autostrade, ecc. Non esiste più, per esempio, il grande bacino del lago Sumas. Prima della colonizzazione, gran parte della municipalitàα di Surrey, una delle più estese della Greater Vancouver, era sommersa, stiracchiata a sud di New Westminster (prima capitale british columbiana) fino al confine con lo stato di Washington. Anche supponendo che i nativi avessero sufficienti conoscenze per prosciugare le paludi, probabilmente non l’avrebbero mai fatto. Per capire il senso di unicità con la natura nell’ambiente aborigeno, immaginiamoci dunque una grande bellezza, in una terra unica e silenziosa come dev’essere stata nei giorni in cui le grandi foreste erano ancora intatte, quando le acque erano letteralmente brulicanti di pesci, e quando il cielo diventava nero per le miriadi di uccelli migratori.
Le regioni costiere, dall’Alaska all’Oregon attraverso i territori di British Columbia e Washington, erano occupate da un popolo vigoroso e straordinariamente creativo, quello cui ci si riferisce quando si parla (impropriamente) di “indiani della costa nordoccidentale” canadese. Ne facevano parte sette gruppi linguistici, che parlavano lingue e dialetti totalmente diversi, e tuttavia godevano di cultura e stili di vita simili. Nell’interno invece, dove il clima era più rigido e gli inverni molto freddi (Plateau, Interior Salish, Kootenay, Athapaskan, ecc.) le tribù erano costrette ad un’esistenza nomade o seminomade; e ciò sfociava in un’organizzazione sociale meno completa. Che tuttavia nulla toglieva alla potenzialità di popolo virile ed energico, anche se meno fortunato – nella possibilità di esprimersi culturalmente ed artisticamente – dei cugini della costa nordoccidentale.

EVANGELIZZAZIONE e CIVILIZZAZIONE



La storia ufficiale della British Columbia, con i primi contatti tra europei e indigeni, inizia con l’arrivo dell’inglese capitan Cook nel 1778. A Vancouver Island erano giunti nello stesso periodo gli spagnoli, arrivati nel territorio dei nativi Nootka, dove nel 1791 sbarcò, bene accolto, anche il primo italiano, l’ammiraglio Alessandro Malaspina, al servizio della corona spagnola. Documenti storici indicano nei francescani i primi missionari cattolici in British Columbia, giunti dalla California “with the Spanish exploration vessels in 1774 and 1775”. Vennero e andarono. Il secondo ritorno dei francescani in Canada avverrà sotto il papato di Leone XIII; in British Columbia sarà l’arcivescovo Casey, nel 1923, a dar loro il permesso di fondarvi un regolare convento. La presenza dei francescani (oggi limitatissima) è indissolubilmente legata all’immigrazione europea, mentre saranno gli Oblati di Maria gli evangelizzatori delle popolazioni indigene dell’ovest, e in seguito gli assistenti spirituali dei pionieri e delle loro famiglie.
La storia dei primi insediamenti missionari risale invece alla prima metà dell’Ottocento con l’arrivo in Oregon – a Walla Walla, laddove confluiscono i fiumi Snake e Columbia – dei primi cinque Oblati di Maria. Giunti “nel tardo pomeriggio del 4 ottobre 1847”, otto mesi dopo aver lasciato la Francia, benedetti dal vescovo de Mazenod e diretti al Pacific Northwest, luogo di lavoro loro destinato, erano padre Pascal Ricard, 43 anni, e gli studenti di teologia Eugene Casimir Chirouse, 26 anni, George Blanchet, 26, Charles Pandosy, 23, e il fratello laico Celestin Verney. “Catholic missionaries had passed through this way before, but here were the first who had come to settle”. C’erano state in precedenza visite di pionieri gesuiti, si ricordano i padri de Smet, Demers, Nobili, ma i loro erano stati viaggi esplorativi, c’era ora bisogno di missionari permanenti. Ai cinque Oblati il posto fu assegnato dal capo degli indigeni Yakima, Piopiomosnos (serpente giallo) alla confluenza dei fiumi Yakima e Columbia. In quel punto la zona era brulla e il terreno povero; cominciarono col procurarsi legname, trasferendolo in barca dove avrebbero costruito la chiesa, che fu denominata “St. Rose on the Yakima”. In seguito fu stabilita nella zona la missione “St.Ann”. I più vicini, a 30 miglia da Walla Walla, erano i Presbiteriani insediatisi a Waiilatpu: il dottor Marcus Whitman e sua moglie vi conducevano una missione medica dal 1836. Risulta ci fossero missioni di Gesuiti a Coeur d’Alene e a Colville.
Il 24 maggio 1855 ebbe luogo a Walla Walla una riunione per la firma del trattato con il quale gli indigeni cedevano la maggior parte dei loro territori, ottenendo in cambio dal governo “riserve” per ogni tribù e somme di denaro. Le ostilità tuttavia non cessarono, fino a provocare – dopo continui massacri (tra cui quello dei coniugi Whitman) la guerra tra gli Stati Uniti e gli Indiani nativi (20 settembre 1855).
Come altrove, i missionari cattolici furono non solo evangelizzatori, ma civilizzatori. Ne possiamo trovare un esempio eccellente in padre Carlo Giovanni Felice Adolfo Maria Pandosy, ufficialmente conosciuto come “padre dell’Okanagan” (la più bella estesa feconda valle british columbiana). Nei documenti storici si parla di questo nobile Oblato di Maria come di un “devoto pastore, che servì inoltre come medico, insegnante, legale, botanico, agricoltore, musicista, maestro di canto, allenatore sportivo….” ed ancora “pacificatore, difensore della giustizia, grande umanitario…”. Nel 1860 nacque in Okanagan “Mission Creek”, con una piccola chiesa, una scuola e la casa della missione. Una testimonianza del defunto agricoltore Antonio Casorso afferma che i primi alberi piantati dal missionario producevano “bellissime mele di colore rosso intenso e brillante, dalla forma simile alle Delicious, buone mele invernali”. E fu lo stesso padre Pandosy a piantare la prima vite: oggi la valle dell’Okanagan è famosa per i suoi vigneti e le sue cantine, al cui sviluppo hanno ben contribuito anche gli italiani qui insediatisi.
Altro esempio da citare è quello di padre Jean Marie Le Jeune, straordinario linguista e poliglotta, autore della prima grammatica e del primo dizionario nella lingua dei nativi, oltre che del sistema di insegnamento agli stessi delle lingue francese e inglese. Nel 1881 padre Le Jeune, appena ventiseienne, aveva fondato il “The Kamloops Wawa”, definito “il più singolare giornale del mondo”: regolarmente pubblicato per 25 anni, e con edizioni speciali fino al 1917. Wawa, nella lingua Chinook, significa speak, talk, o echo. Un’impresa unica questo giornale nella lingua dei nativi, allo scopo di facilitare la comunicazione tra loro.

PRESENZA RELIGIOSA ED EDUCATIVA



La prima missione cattolica britishcolumbiana fu fondata nel 1858 ad Esquimalt, in Vancouver Island, con sede operativa ad Olympia, in Oregon. Al 1860 risale la missione St. Charles di New Westminster e l’11 dicembre 1860 veniva celebrata la prima messa a Pont Grey, località della futura città di Vancouver. Padre D’Herbomez scriveva allora al vescovo de Mazenod: “Ormai la popolazione bianca sta crescendo e, a giudicare dal numero che viene in chiesa la domenica, possiamo prevederne il futuro: la nostra parrocchia rappresenta quasi tutti i paesi del mondo cattolico: francesi, canadesi, inglesi, irlandesi, italiani, spagnoli, e indiani di varie tribù…..”. Il messaggio partiva da Esquimalt, diretto a Marsiglia.
Nel 1862 scoppiò un’epidemia di vaiolo. “I diecimila arrivati in British Columbia alla ricerca dell’oro non vennero a mani vuote…. portarono il vaiolo ed altre infezioni. I nativi non avevano nessuna resistenza al virus, non conoscevano precauzioni igieniche e caddero vittime della malattia, portata dalla California, prima nell’isola e poi nella terraferma. Interi villaggi si svuotarono”. Durante l’epidemia gli Oblati si dedicarono agli ammalati, bruciarono i cadaveri dei morti, sostentarono i sopravvissuti, vaccinarono migliaia di nativi: il solo padre Foquet ne vaccinò più di ottomila.
Tre decenni dopo Vancouver contava quasi 30 mila abitanti, con i cattolici in minoranza. La storia missionaria tra l’altro dice che “quando il vescovo D’Herbomez nel 1847 guidò gli Oblati in British Columbia la popolazione era quasi tutta indiana. Ma con l’avvento della corsa all’oro (Gold Rush) e la conseguente influenza dei nuovi insediati, e l’introduzione delle malattie che fecero strage dei nativi, le statistiche relative alla popolazione subirono un cambiamento radicale. Al tempo del successore, il vescovo Durieu, gli indiani erano diventati gruppo di minoranza e alcuni dei missionari lavoravano solamente con la popolazione bianca”. Nel 1897, a fine secolo, la popolazione bianca era insediata anche a Fernie, Cranbrook, Greenwood, Nelson, Revelstoke, Rossland, Vernon, Lumby e Kelowna. In Vancouver era stato realizzato il St. Paul Hospital, erano state edificate le chiese Sacred Heart e St. Patrick oltre che la St. Edmund di North Vancouver. Era stata inoltre trasformata la Holy Rosary nella bella cattedrale.
Nel 1923 l’arcivescovo Casey aveva aperto le porte anche ai Francescani, dando loro il permesso di fondare un regolare convento, senza parrocchia. Il 24 febbraio 1924 arrivò a Vancouver Padre Martin, che trovò rifugio presso il St. Paul Hospital fintantoché non affittò una modesta casa al 1065 West Broadway. Il 17 maggio fu raggiunto da fra’ Roberto: nasceva la prima piccola comunità francescana in Vancouver. L’anno dopo, il 10 ottobre 1925, definito con il permesso dell’arcivescovo l’acquisto della proprietà Miller al 1020 di Semlin Drive, la comunità vi si trasferì, con padre Eugenio priore e padre Robert assistente. Quest’ultimo morì il maggio seguente, a soli 44 anni d’età. La presenza dei Francescani a Vancouver si susseguì fino agli anni Novanta, interrompendosi con la scomparsa di padre Emanuele Rosaia. Oggi la parrocchia di St. Francis in Semlin Drive, nel cuore della comunità italiana, è gestita da sacerdoti arcidiocesani.
L’arcidiocesi di Vancouver era stata costituita nel 1908, cinquant’anni dopo la fondazione della missione-madre di Esquimalt. Aveva preceduto la sua nascita, nel 1863, il Vicariato apostolico della British Columbia trasformatosi nel 1890 in Diocesi di New Westminster. Consorelle nell’organizzazione cattolica e nel servizio ai fedeli sono oggi la diocesi di Victoria, con giurisdizione su tutta l’isola di Vancouver, e le diocesi di Nelson, Kamloops, Prince George e Whitehorse, quest’ultima operante nel nord territoriale e nello Yukon. Esiste inoltre, proclamata nel 1974 da Paolo VI, l’estesissima Eparchia di New Westminster (diocesi cattolica ucraina). Consistente ovunque è la presenza di cattolici di origine italiana. In particolare, a Vancouver esistono cinque parrocchie – multietniche e multiculturali come lo è la composita società canadese – ove converge la maggioranza degli italiani: Our Lady of Sorrows e St. Francis of Assisi nel capoluogo, Holy Cross e St. Helen’s a Burnaby, Holy Spirit in New Westminster. Le primogenite sono la Our Lady e Sant’Elena, ambedue nate nel 1912, mentre San Francesco è del 1924, Holy Spirit del 1941 ed Holy Cross del 1958. Le date sono certamente indicative sia dei primi che dei successivi insediamenti di nuclei di famiglie italiane nel territorio. La primitiva Little Italy, agli inizi del secolo scorso, era tuttavia nata nel quartiere di Strathcona, con fulcro la chiesa del Sacro Cuore, edificata nel 1905. Solo in seguito la “Piccola Italia” di Vancouver s’era spostata verso est, trasferendosi in Commercial Drive e dintorni. Va detto che oggi la presenza italiana è diffusa ovunque, anche se particolarmente numerosa in Vancouver East e in Burnaby. Nuclei di italiani, attivi e partecipi, ci sono nel cuore della metropoli, soprattutto intorno alla cattedrale Holy Rosary. E poi a West Vancouver e a North Vancouver, ad Abbotsford e Coquitlam, a Langley e a Delta (solo per nominare alcune località della Greater Vancouver). Un cenno va fatto a Ladner, villaggio del Delta, dove da qualche anno una trentina di famiglie italiane celebra il patrono san Francesco d’Assisi in comunione con la locale parrocchia del Sacro Cuore.



EDUCAZIONE



Ad oltre un secolo e mezzo assomma il servizio offerto dalle scuole cattoliche alle comunità british columbiane. La prima scuola, nata a metà dell’Ottocento, fu la St. Ann’s Academy in Victoria, a cura della Sisters of St. Ann. Alcuni anni dopo, era il 1861, padre Leon Fouquet, degli Oblati di Maria Immacolata, dette vita alla St. Mary Mission School. “Negli anni successivi quest’ordine religioso continuò a giocare un ruolo dominante nel sistema dell’educazione cattolica romana in British Columbia” si legge in una pubblicazione ampiamente diffusa. Il primo riconoscimento ufficiale da parte del governo provinciale avvenne nel 1872 – un anno dopo l’entrata della British Columbia nella Confederazione del Canada – con il Common School Act. Lunghe e appassionate battaglie, condotte da sacerdoti e laici, portarono, nel corso dei decenni all’Indipendent School Act del 1989, che stabilisce un contributo fino al 50% pro capite rispetto a quanto garantito alla scuola pubblica. Nell’ambito cattolico di Vancouver operano attualmente quaranta scuole elementari, dieci secondarie e due a livello universitario (Corpus Christi alla UBC e Reedimer Pacific College in Langley). Novecento circa gli insegnanti, per una popolazione che supera il 14 mila studenti: compresi i molti oriundi italiani. Anche le parrocchie maggiormente frequentate da italiani gestiscono con successo e crescenti adesioni le proprie scuole: Our Lady of Sorrows e Sant’Elena sotto la guida degli Scalabriniani (ai quali è affidata in Vancouver anche la chiesa nazionale portoghese). E come in tempi lontani avvenne nella Little Italy di Strathcona e della sua chiesa del Sacro Cuore, da sempre i corsi di lingua italiana sono stati accolti, sostenuti e offerti agli studenti. Un contributo importante alla presenza cattolica romana nella regione dell’ovest canadese.

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Questo saggio è stato pubblicato in Veneti in Canada (Longo Editore, 2011).


Giornalista vicentina trasferitasi in Canada negli anni Ottanta. Dopo tre decenni di impegno nel settore
dell’informazione in Italia, ha diretto (1983-1990) L’Eco d’Italia di Vancouver. Ha collaborato e tuttora
collabora a giornali e riviste di emigrazione in Italia, Canada, Stati Uniti. Autrice di Missioni di ieri
Frontiere di oggi (2007), Personaggi&Persone (2008), Presenze italiane in British Columbia (2009).
Ha contribuito a Veneti in Canada (Longo 2011) e ha in preparazione Corsivi&Cronache.