Intervista a Enza Uda, sardo-filippina in Canada

UN’ANIMA GLOBALE

Intervista a Enza Uda, sardo-filippina in Canada

di Anna Anna Maria Zampieri Pan ©

(Articolo fornito dall’autrice)

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Intervista di Anna Maria Zampieri Pan

alla giornalista di origine sardo-filippina, del programma Cover Story della canadese CBC

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Vancouver – Padre sardo, madre filippina. Laurea e Master all’UBC. Lingue e identità culturali diverse l’hanno portata a girare il mondo. Ma Vancouver – dice – è la mia casa più vicina.

Enza Uda, giornalista, lavora da qualche anno al Dipartimento di produzione televisiva della CBC (la Canadian Broadcasting Corporation, più o meno l’equivalente della RAI in Italia). Al momento collabora alla produzione di Cover Story, un servizio speciale di dieci minuti per il notiziario televisivo delle ore 6 pomeridiane.

Canadese di origine sardo-filippina, nata a Vancouver nel 1973, Uda può ben esemplificare il profilo di molti giovani intellettuali e professionisti a noi contemporanei. Il fenomeno dei matrimoni misti, anche se in crescita esponenziale nell’attuale contesto multietnico, esiste da tempo, ed è indicativo di come sia cambiata e stia cambiando la nostra società. Soprattutto può farci capire la necessità di essere duttili, aperti alle trasformazioni in corso, capaci di una visione ecumenica, pur nel rispetto e nel mantenimento di alcuni valori fondamentali, quelli al servizio della persona e non al suo indiscriminato utilizzo. È sposata con un sudamericano, e per la loro figlioletta vede un futuro “senza confini e senza etichette”.

– Chi sono i tuoi genitori, di dove sono originari?

Antonio Uda, nato in provincia di Nuoro in Sardegna, e Angeles Mercado nata a Manila, nelle Filippine. Entrambi giunti in Canada alla fine degli anni Sessanta. Mio padre visse per un certo periodo a Regina, nello Saskatchewan, dove operava come perito agrimensore. Si trasferì, in seguito, a Vancouver per lavorare al Consolato d’Italia, e qui incontrò mia madre. Lei lavorava alla Bank of British Columbia.

– Come hai trascorso gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza? Che lingua parlavi in famiglia?

Parlavamo un misto di tutti e tre le lingue: inglese, italiano e filippino. Ma la nostra interazione si svolgeva soprattutto in inglese, nostro comune denominatore. Sono cresciuta vivendo in giro per il mondo, dal momento che mio padre lavorava per il Ministero degli Esteri italiano. Siamo stati a Sydney, in Australia, per cinque anni; a Manila, nelle Filippine, per tre anni; poi ci siamo trasferiti a Roma dove ho concluso le scuole superiori conseguendo la Maturità. Poi ho conseguito alla UBC, l’Università della British Columbia, una laurea in Relazioni Internazionali e Italiano, e un Master in Giornalismo.

– Ti piace il tuo lavoro e come lo vedi proiettato nel futuro?

Mi piace ciò che faccio. È un processo quotidiano di apprendimento: conosci nuove persone, impari come gira il mondo intorno a te. D’altra parte è un’opportunità di condividere stories con il pubblico. Spero di rimanere nel giornalismo d’attualità che qui si chiama current affairs. Preferisco essere capace di indagare in profondità un soggetto o un problema, anziché dedicarmi a coperture superficiali in programmi giornalieri.

– Di quali avvenimenti ti sei occupata in particolare?

Al momento collaboro alla produzione di Cover Story, un servizio speciale di dieci minuti per il notiziario televisivo delle ore 6 pomeridiane. Usualmente mandiamo in onda storie prodotte attraverso la rete televisiva della CBC. Sono anche impegnata a produrre servizi originali. Il più recente riguardava la crescita della comunità colombiana, un altro era sull’utilizzo del Tasers da parte del dipartimento della Polizia di Vancouver. In precedenza ho lavorato per un programma investigativo cancellato la scorsa primavera. Si trattava di fatti di alto profilo nazionale, tra gli altri quello riguardante un criminale di guerra nazista che vive a Vancouver. E poi il traffico di lavoratori del sesso, il contrabbando d’armi, la pornografia minorile. Il lavoro che più mi soddisfa è il journalism with an impact cioè il giornalismo d’urto.

– Quali e quante lingue conosci?

Parlo tre lingue: inglese, italiano e spagnolo, conosco un po’ di filippino e di francese.

– Quante cittadinanze hai?

Due, canadese e italiana.

– Come percepisci le due diverse culture che ti hanno trasmesso i tuoi genitori?

Ambedue fanno parte di ciò che sono come persona. E io sono ciò che mi fa unica rispetto a molti altri, e nello stesso tempo simile a molti. Mi spiego: io mi sento a casa quando sono in Canada, quando sono in Italia, e quando sono nelle Filippine. E penso di essere una persona differente in ognuno di questi luoghi dal momento che ho l’«abilità» di adattarmi facilmente ad ogni ambiente. Mi identifico in larga misura con tutti e tre i Paesi. Ma, nello stesso tempo, c’è sempre una parte di me un po’ diversa. È questa dualità, questo push and pull (tira e molla), cioè la sensazione di essere a casa dappertutto e in nessun posto, che costituisce contemporaneamente per me un vantaggio e uno svantaggio.

– Pensi di essere riuscita a fare una sintesi delle due culture?

Questa sintesi è ciò che sono. Questa è la realtà della mia esistenza… Le culture sono talmente forti, da ambo le parti, da rendere impossibile sopprimerne, nasconderne o ignorarne una delle due. Mio padre è così fieramente sardo, e mia madre così appassionatamente filippina, e perciò io sono stata allevata in un mondo completamente bi-culturale. Ho avuto, inoltre, l’opportunità di vivere, studiare, lavorare e «respirare» entrambi i Paesi e le loro culture. E così in profondità che sono veramente parte di me.

– Hai mai vissuto momenti di disorientamento? Da canadese, come definisci la tua identità?

Per me l’identità è stata sempre un concetto flessibile e volatile. Credo che potrei essere definita, come fa lo scrittore-viaggiatore Pico Iyer (*), un’ “anima globale”. La persona inquieta, non radicata, è costantemente in cerca dell’inafferrabile “casa” in questo mondo instabile e frammentato.

– Hai sposato un sudamericano, Riccardo Gomez. Avete una bellissima bambina, ricca non solo nei tratti fisici per le molte eredità. Come vedi e desideri il suo futuro?

Il futuro per mia figlia sarà un mondo di infinite possibilità. Spero che lei si realizzi per ciò che veramente è, e non sia costretta entro confini ed etichette. In questo mondo globalizzato, il nazionalismo sta sempre più diventando un anacronismo, perlomeno per gente come Sofia e come me.

– Come avverti le comunità locali d’origine dei tuoi genitori, filippina e italiana. E in quale rapporto sei? Partecipi a qualche iniziativa?

Sfortunatamente, non ho avuto molto tempo da dedicare alle comunità culturali. Da ragazzina sono stata impegnata con un gruppo di danza folkloristica filippina. Di quando in quando sono stata coinvolta nelle iniziative del Club Sardo e della comunità italiana.

– Sia pure con anima globale e vocazione da globetrotter, qual è il tuo rapporto con Vancouver dove sei nata, vivi e lavori?

È il luogo in cui si sono sposati i miei genitori, dove io sono nata, dove mi sono sposata e dove ho partorito mia figlia. È il posto da noi scelto per costruirci la casa. Nonostante i momenti in cui non mi vedo in relazione con la corrente della cultura anglo-canadese, ci sono molte realtà, a Vancouver, che mi fanno sentire collegata: i dim sum nelle domeniche, il profumo dell’aria leggera e umida, il Pacifico combinato con il verde degli alberi, il salmone affumicato, un’escursione al parco… È la realtà più vicina alla «casa» che io abbia mai conosciuto.

Anna Maria Zampieri Pan

(*) Pico Iyer, noto giornalista e scrittore viaggiante, nato in Inghilterra da genitori indiani