Presenza al Museo delle civiltà

OTTAWA. UN NUOVO SGUARDO AL MONDO ITALO-CANADESE

Presenza al Museo delle civiltà

Fino al 6 settembre 2004 in mostra la generazione di italiani arrivati negli anni Cinquanta-Settanta, e i cui protagonisti sono tuttora viventi.

di Anna Maria Zampieri Pan

VANCOUVER
0703_34In un articolo pubblicato su questa rivista nel numero di aprile 2003 (*), era indicata la percentuale, ricavata dall’ultimo Census della popolazione, relativa al gruppo etnico italiano: il 4% circa su oltre 30 milioni di abitanti del Canada. Non è poi molto. Eppure questa realtà è andata espandendosi, diventando Presenza, ora ufficialmente documentata nella grande esposizione in corso al Museo delle Civiltà a Ottawa. La mostra si ricollega anche alle prime presenze – risalenti al 1880 – che precedettero le grandi ondate migratorie seguite alle due guerre mondiali. Si sa che l’emigrazione italiana in Canada era un tempo costituita per lo più da forza-lavoro reclutata in Paesi di campagna o di montagna delle varie regioni italiane.

Eroi umili e laboriosi
All’inizio erano squadre di operai generici impiegati in ferrovie e miniere. Più tardi manovali assorbiti nei cantieri edilizi. Rari i piccoli e, meno ancora, i grandi imprenditori, come ne sono maturati a decine, per non dire a centinaia, nel tempo. Intraprendenza, orgoglio e spirito di sacrificio hanno stimolato molti muratori a diventare costruttori in proprio, bravi artigiani a trasformarsi in industriali, cuochi e camerieri in ristoratori di grido, e così via. Di questi esempi ce ne sono a iosa in ogni settore di attività. Parallelo, indispensabile, il lavoro silenzioso, costante, eroico delle donne: fondamentale anche se poco riconosciuto e spesso dato per scontato. Il tutto costituisce una palese smentita di certe tesi sostenute da qualche esperto d’emigrazione con conoscenze teoriche e nessuna immersione pratica. Altro che donne prostitute e prostituite o masse di emigranti maltrattati e straccioni, illegali e in combutta col crimine, come quelli descritti da Gianantonio Stella nel suo discutibile e lacunoso libro L’orda, sottotitolo quando gli albanesi eravamo noi!
Meno ancora, in passato, si contavano in Canada letterati, intellettuali e piccolo borghesi di provenienza italiana: non emigranti in cerca di lavoro e di miglioramento economico finalizzato al riscatto culturale e sociale dei propri figli, ma spesso esuli in fuga da situazioni di disagio politico. Quanto agli artisti, quei pochi provenivano da zone in cui non si sentivano, per varie ragioni, avvantaggiati o incoraggiati (di arte in Italia ce n’è anche troppa, e tale da intimidire oltre che da ispirare, mi ha confidato di recente un giovane artista italiano). Qualcuno di loro ha lasciato opere insigni. Nomi famosi e rispettati nella storia del patrimonio artistico di questo Paese sono, ad esempio, quello dell’isontino di Trieste Carlo Marega (1871-1939) scultore di importanti opere pubbliche a Vancouver, dov’era vissuto dal 1909 – fondatore della prima scuola d’arte di questa città, oltre che della locale società degli scultori – e del toscano di Prato, Guido Nincheri (1885-1973), maestro vetraio e affrescatore, creatore nel suo laboratorio di Maisonneuve di oltre 2 mila fantastiche vetrate al piombo, decoratore di chiese non solo in Montréal, dov’era arrivato nel 1914. Due esempi eccellenti sviluppatisi sulle opposte sponde del Canada: quella del Pacifico e quella dell’Atlantico.
La grandezza degli emigrati italiani è tuttavia costituita dalla loro normalità: quella maggioranza di gente umile e laboriosa il cui nome non sarà mai scritto su lapidi, enciclopedie o siti web, ma che ha il merito di avere aggiunto nuovo sapore alle abitudini quotidiane della più vasta popolazione canadese. È un contributo di comportamenti e di valori importanti, provenienti dalla saggia e antica cultura popolare delle regioni italiane, che si è innestato nel tessuto canadese. Un ricamo intessuto sulla trama di una realtà sconosciuta, esplorata con coraggio e pazienza. Un lavoro basato sull’iniziativa autonoma, non ispirato né assistito dalla madrepatria (a differenza di quanto avvenuto più di recente, dopo la rivelazione della risorsa costituita dagli italiani nel mondo). Frutto di adattamento e di necessità, porta con sé il guizzo dell’originalità e della fantasia, proprie degli italiani. Ed ha il sapore semplice della terra amata e mai dimenticata.

Valori e quotidianità
Il mondo italo-canadese d’origine soprattutto rurale, esplorato e descritto da Presenza mediante documenti, video-interviste e 300 reperti scelti tra i moltissimi individuati in ogni parte del Paese, ha contribuito ad insegnare ai canadesi la gioia di vivere, la convivialità e la socievolezza. Ha diffuso – precorrendo le tendenze delle mode ecologica ed organica attuale – il gusto del cibo fatto in casa: il pane, il vino, la pasta, le salse, i dolci preparati secondo ricette antiche. Ha fatto conoscere danze e musiche dei Paesi d’origine. Ha diffuso e fatto apprezzare l’arte artigiana propria di alcune regioni d’Italia. Tramite consumi e commerci ha favorito e incrementato l’importazione di prodotti dalla penisola. Ed ha indicato la concezione della famiglia, la cultura del lavoro, il valore della religiosità popolare, il senso della coesione comunitaria. Su questi concetti e su queste realtà si fonda e si sviluppa la multimediale esposizione al Museo delle Civiltà. Sia chiaro perciò che la mostra non descrive l’Italia in Canada passando attraverso istituzioni e voci ufficiali, e nemmeno tramite il più moderno contributo di qualche migliaio di nuovi arrivati, ma documenta essenzialmente l’apporto concreto di quella generazione di italiani emigrati in passato, che sono i genitori e i nonni dei nuovi italocanadesi. Da quella generazione di strenui lavoratori e cultori di valori tradizionali provengono gli attuali oriundi, tra i quali vanno annoverati numerosi liberi professionisti, imprenditori, docenti, artisti, amministratori, politici, e così via. Questi sono gli eredi-comunicatori, come lo è – e va sottolineato – il curatore della mostra Presenza, l’antropologo Mauro Peressini, dalla scrivente intervistato sull’argomento giusto un anno fa. (**)
La riproduzione di un passaporto rilasciato a Udine il 25 maggio 1927 in nome di sua maestà Vittorio Emanuele III per grazia di Dio e volontà della nazione Re d’Italia, fa da sfondo al manifesto ufficiale della mostra Presenza. In negativo, bianco su rosso, la silhouette di due avambracci, le cui mani reggono due tazzine da caffè espresso. La mano che scende dall’avambraccio sulla destra è una mano gentile, ma scarna nella sua offerta; la mano che sale da sinistra, in un cin-cin significativo, quale incrocio di piacevole esperienza, è una mano curata, con unghie cresciute e affilate… Sono simboli di una realtà evolutasi ma tuttora in movimento. Come sono simboli la presenza, al Museo delle Civiltà, di una gondola veneziana, di un carretto siciliano, di una vecchia Topolino, vistosi in mezzo ai molti oggetti della quotidianità degli emigranti: tra i quali c’è anche la significativa valigia di Tony Mazzega (***). A documentazione di un’epopea da non dimenticare e la cui memoria, sentimentale e storica, è affidata a chi verrà dopo.

(*) Il volto etno-culturale del nuovo Canada (Aprile 2003, Messaggero di S. Antonio).
(**) Rurali? E ne siamo orgogliosi – Intervista di AMZ al curatore della mostra, Mario Peressini (Luglio-Agosto 2002, Messaggero di S. Antonio).
(***) Arte a colpi di… Mazzega (Luglio-Agosto 1999, Messaggero di S. Antonio) e L’Italia in valigia (Giugno 2000).