Lo choc a Genova dopo l’arresto di Toti: ecco perché per la città (e non solo) è il crepuscolo di un mondo

diMarco Imarisio Il sindaco di Genova, dopo l'arresto del presidente della Regione, evoca il crollo del ponte Morandi: «Non siamo in ginocchio, come non lo eravamo dopo il crollo del 2018»

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DAL NOSTRO INVIATO

GENOVA – L’accostamento gli è venuto spontaneo. «Non siamo in ginocchio, come non lo eravamo dopo il crollo del ponte Morandi». Il sindaco Marco Bucci si fa vanto di non avere pensiero politico. Ma il paragone con la peggiore tragedia dell’epoca recente di questa regione autorizza davvero l’attivazione dei sismografi per misurare l’entità di questo terremoto che scuote le istituzioni e l’intero sistema di potere liguri. Anche perché il primo cittadino di Genova confessa in pubblico e in privato di sentirsi «estremamente scosso, provato, e sotto choc». E per chi conosce la maschera di imperturbabilità che da sempre indossa con naturalezza, è quasi una certificazione della gravità dell’accaduto.

Un suo predecessore da poco scomparso, Beppe Pericu, che guidò la città nelle intemperie del G8, ripeteva spesso che a Genova ci sono due sindaci. Il primo lavora a palazzo Tursi, che sarebbe il municipio. Il secondo abita a palazzo San Giorgio, sede dell’Autorità portuale, ed è quello che conta di più. La prima nomina che viene sempre fatta da qualunque presidente regionale ligure appena insediato è quella. La più importante. Il resto, dopo. Giovanni Toti scelse subito Paolo Emilio Signorini detto Pes, come viene chiamato in sua assenza. Ligure di nascita, romano d’adozione. Reclutato da Gianni Letta in persona quando era un giovane funzionario al ministero delle Finanze, reduce dalla Banca d’Italia, il suo primo impiego. Dirige la struttura tecnica del ministero delle Infrastrutture, fino a quando arriva Graziano Delrio. È quasi uno scambio alla pari tra centrodestra e centrosinistra, perché Signorini ripara a palazzo San Giorgio, chiamato da Toti prima come direttore generale della Regione appena conquistata, poi a sostituire Luigi Merlo, democratico di area renziana.

È la casella più importante di un nascente sistema di potere. Perché il porto è ancora oggi per Genova quel che la Fiat era per la Torino degli anni Settanta. Una città che rappresenta meno di un centesimo della popolazione d’Italia, ne movimenta il 50 per cento delle merci. L’aspirante boiardo di Stato Signorini si connette subito alla figura senz’altro più vistosa tra i terminalisti che fanno il bello e il cattivo tempo tra i moli. Commendatore, o scio’ Aldo, il Presidente, del Genoa che da Franco Scoglio a Osvaldo Bagnoli scrisse le pagine più belle della storia sportiva del Grifone, Aldo Spinelli è da tanto tempo un elemento fisso del paesaggio genovese.

A 84 anni, rappresenta una razza di imprenditore ruspante e forse un potere che stava avviandosi verso il crepuscolo, soppiantato dalla concorrenza e dalle esigenze di gruppi imprenditoriali più grandi. Paride Batini, leggendario leader dei camalli, non gli rispondeva mai al telefono, temendo le sue doti da incantatore di serpenti. «Quando ci parli, ti ha già fregato» raccontava. Spinelli non è immorale ma amorale, anche se lui, uomo semplice che davvero si è fatto da solo, operaio macchinista, orfano di padre scomparso in un naufragio, ha sempre sostenuto che i paroloni non gli piacevano. È totiano, certo. Ma è stato anche burlandiano, berlusconiano, dalemiano, con chiunque tenesse le leve del comando. Intorno a lui, che considerava il porto come una sua creatura, se non una proprietà, si è coagulato un indotto marittimo che spesso veniva accusato di frenare in ogni modo la concorrenza che avanzava.

L’unico modo per farlo era quello di siglare un patto di potere, uno scambio tra denaro e favori. Agli atti risulta una telefonata furibonda di Gianluigi Aponte, patron di Msc, secondo gruppo mondiale di trasporti marittimi, a Signorini. «Qua vengo a sapere che la sua organizzazione ha deciso di dare ulteriori 14.000 metri quadrati a Spinelli, gliene ha già dati trentamila, e insomma se gli volete dare tutto il porto di Genova, intanto noi stiamo qui a guardare ma la cosa sta diventando indecente». 

L’Autorità portuale è sempre stata il crocevia di tante strade diverse, unite da un interesse comune, i terminal e il mondo che ci gira intorno. Non era certo un segreto che Signorini avesse siglato una intesa cordiale con un uomo dichiaratamente di sinistra come Mauro Vianello, altra figura storica, numero uno di Ente bacini, ovvero le riparazioni navali, e presidente della società specializzata nei servizi di prevenzione e antiincendio portuali. Pure lui risulta indagato, come del resto Saverio Cecchi, presidente di Confindustria nautica e patron del Salone nautico, e Maurizio Rossi, proprietario di Primo canale, l’emittente televisiva che è un altro pezzo di storia imprenditoriale della città, accusata dai suoi detrattori e dal centrosinistra di essersi dedicata negli ultimi anni alla esclusiva divulgazione del verbo totiano.

C’era una volta Genova siccome immobile. Una città che dove non si muoveva nulla, dove chi otteneva una carica pubblica la conservava fino alla tomba. Adesso, tutto questo, in un solo colpo. «È come se all’improvviso avessimo tutti perso la bussola» commenta un ex deputato del Pd mentre a sera costeggia il palazzo della Regione dove quasi tutte le luci sono spente. «Sono sconvolto» dice invece Beppe Costa, terminalista, presidente di palazzo Ducale e gestore dell’Acquario di Genova. «Così si rischia il blocco di istituzioni e porto». Lo smarrimento della politica locale, ben rappresentato dal sindaco Bucci, ha buone ragioni d’essere. Non è ovviamente la replica del ponte Morandi, per fortuna. Ma è senz’altro il crepuscolo di un mondo. 

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7 maggio 2024 ( modifica il 7 maggio 2024 | 23:33)

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