Nell’Oasi di Panarella, la porta del Delta del Po che ospitò una micro nazione E oggi è una repubblica della biodiversità

diAlessandro Sala, inviato al Delta del Po L'area golenale che accoglie decine di specie di animali e arboree fu la sede della utopistica comunità Tamisiana di Bosgnattia del prof Luigi Salvini. Oggi è uno scrigno di natura, assieme al resto delle aree umide incastonate tra il Grande Fiume e l'Adriatico 

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Con la sua livrea gialla e nera il Rigogolo è un uccello che non passa inosservato. Ma questo non significa che sia sempre facile vederlo. Perché è un volatile furbo, che per proteggersi dai predatori cambia spesso posizione, anche nella stagione primaverile, quella del canto, in cui si esibisce spostandosi da un ramo all’altro e da un albero all’altro. Anche per le migrazioni predilige gli orari notturni, in cui i suoi colori sgargianti si attenuano consentendogli una migliore mimetizzazione. Ama vivere nelle aree boschive e con grande disponibilità di acqua e non è dunque un caso che sia stato scelto come simbolo dell’Oasi di Panarella, considerata la porta del Parco del Delta del Po. È un’area golenale di circa 50 ettari, per metà gestita dal Wwf, che ricade nel territorio di Papozze, un tempo florido punto di incontro per viandanti che si spostavano a piedi seguendo il fiume e per «barcari» e «cavallanti» che vi bazzicavano in gran numero, ai tempi in cui le merci venivano trasportate via acqua, come racconta splendidamente  Paolo Malaguti nel suo Se l’acqua ride (Einaudi, 2020). 

La Papozze di oggi è molto diversa da quella narrata dallo scrittore di Monselice, che con le vicende di Ganbeto e del nonno Caronte che solcavano fiumi e canali con il loro «burcio» Teresina, arrivò in finale al Premio Campiello 2021. L’alluvione del 1951 portò devastazione in buona parte del Polesine e questa zona non fu risparmiata: l’acqua travolse e di fatto cancellò l’abitato originario e il comune venne ricostruito ex novo oltre l’argine secondario, in una zona più sicura. La golena non poteva più essere abitata dall’uomo. Ma dalla natura sì, eccome. E l’oasi di Panarella ne è la dimostrazione.

Noi ci arriviamo nel giorno della Liberazione, lo stesso che segna l’avvio del Mese delle Oasi del Wwf sull’intero territorio nazionale. Lo scorso anno di questi tempi c’era il problema della siccità: la scarsità d’acqua aveva messo a rischio molte coltivazioni nei campi e anche nelle zone umide attorno al fiume le cose non andavano benissimo. Questa primavera è stata invece di segno opposto: le abbondanti piogge delle ultime settimane hanno causato piccole inondazioni che ancora lasciano tracce, con pozze d’acqua che interrompono i sentieri e li rendono difficilmente percorribili. Ma questo è un problema nostro, di noi umani, la natura fa comunque il suo corso e sa come adattarsi. 

Nel non-silenzio dell’ecosistema, che il meteo avverso ha liberato dal vociare umano, gli uccelli e gli insetti riconquistano interamente il campo sonoro. Cinguettii e richiami d’amore si intrecciano ai ronzii e ai frulli d’ali. Le gazze svolazzano da una parte all’altra, temerarie e niente affatto timide, come del resto i gabbiani e gli aironi.

Alcune zone della riserva sono raggiungibili soltanto guadando laghetti estemporanei lungo i percorsi. I responsabili della sezione di Rovigo del Wwf, che l’hanno in gestione, stanno aspettando che la situazione migliori per il ripristino dei camminamenti e della segnaletica. Sono state effettuate nuove piantumazioni e grazie al Pnnr si potrà intervenire ulteriormente per dare nuova linfa alla riserva. Le opere vengono realizzate con la cautela del caso, limitandole allo stretto  indispensabile. L’area, del resto, si presenta così come è stata modellata dalla natura, fatta eccezione per i percorsi didattici e le strutture che favoriscono  il birdwatching. «In passato il raddrizzamento dell’ansa provocò un’alterazione della conformazione e un impoverimento della flora e della fauna del luogo – spiega la scheda informativa dell’oasi – ma alla conclusione delle opere idrauliche le specie vegetali e animali hanno fatto ritorno nel loro antico rifugio». Succede sempre quando se ne dà loro l’opportunità.

Di uccelli da queste parti ne passano parecchi e di molte diverse specie: nidificatori, svernanti e di passo. L’elenco è lungo: nei canneti nidificano la Cannaiola, il Cannareccione, il Basettino, il Migliarino, il Tarabusino, il Porciglione, l’Airone rosso; alzando lo sguardo sopra i salici si possono incrociare nei vari periodi il Pendolino, la Capinera e il Rigogolo di cui già abbiamo fatto la conoscenza. Dove il bosco è più fitto si appoggiano il Cardellino, il Verdone, il Verzellino, il Saltinpalo, l’Allodola, la Poiana, il Falco di palude. In inverno anche Pavoncella e Albanella reale. Nell’area sono presenti anche alcune zone palustri e quindi sono molte anche le specie di anfibi. E non si contano gli insetti. Uno scrigno di biodiversità, come del resto lo sono tutte le Oasi del Panda, che in Italia sono cento: la prima è nata al lago di Burano, ad Orbetello, nel 1967; l’ultima è stata inaugurata nei giorni scorsi all’interno dell’azienda ospedaliera Benfratelli di Palermo, la prima del genere.

Nell’oasi di Panarella, che sorge già all’interno del Parco regionale veneto del Delta del Po, la caccia è vietata. L’intervento umano  prevede la rimozione di specie arboree non autoctone e infestanti e la rimozione di sedimenti nelle zone palustri per favorire l’incremento degli anfibi, in particolare la Rana di Lataste e il Tritone crestato italiano, e della Testuggine palustre, quest’ultima in forte declino numerico per effetto del progressivo prosciugamento e interramento dell’area. Gli sfalci avvengono solo lungo i sentieri didattici mentre per il resto si lascia fare alla natura. Che nel tempo ha molto modificato l’ambiente. 

L’isola del Baluttin, per esempio, un tempo unita alla golena di Panarella, oggi è collegata al comune di Corbola, sulla sponda opposta, da un piccolo istmo. L’isola e la golena, tra la metà degli anni 40 e la metà dei 50 ospitarono anche una autoproclamata micro-nazione: la Tamisiana Repubblica di Bosgattia, una creazione del linguista e slavista milanese Luigi Salvini che nel bel mezzo del Grande Fiume diede vita a una comunità «libera, indipendente, periodica, transitoria e analfabeta», che aveva addirittura propri passaporti, una propria moneta e propri francobolli e i cui aderenti vivevano a stretto contatto con la Madre Terra, dormendo in tenda e procacciandosi direttamente il cibo nelle acque del fiume e nei boschi. Un’esperienza di vita silvestre e lontano dalle città, che si svolgeva solo nei mesi estivi, ma che voleva essere un tentativo di rilanciare l’idea di una città ideale ma senza la città, l’Utopia di Tommaso Moro ma lontano dalle aree urbane, a quei tempi invelenite dall’industrializzazione e dal ricordo della guerra. La repubblica si autoestinse con la morte del professore, ma la sua epopea sopravvisse nei ricordi di chi quell’esperienza la riuscì a vivere e nelle pagine del libro postumo dello stesso Salvini, Una tenda in riva al Po.

Panarella sorge poco dopo la separazione del fiume nei suoi due rami principali, quello di Venezia e quello di Goro. Di lì si genera il Delta che fino all’Adriatico regala numerosi altri ambienti protetti e riserve di biodiversità. È la più vasta zona umida d’Italia, una delle maggiori d’Europa, e dal 2015 ha anche il riconoscimento di Riserva di Biosfera dell’Unesco. La nostra Camargue, insomma. Si estende in parte del territorio veneto, in parte in quello emiliano-romagnolo. Due gestioni per un unico grande territorio protetto. Si contano una trentina di Siti di importanza comunitaria (Sic) della Rete Natura 2000, aree che rientrano in un network europeo di protezione ambientale, che comprendono tra le altre le Valli di Comacchio, la Salina di Cervia, la Sacca del Po di Goro, le dune fossili di Ariano, di Rosolina, di Porto Viro, la Rotta di Martino, tanto per citarne alcune. E ancora le riserve naturali, come le dune di Massenzatica e Alfonsine e diversi «paesaggi protetti». 

Nel territorio, tra canali e rami fluviali, lagune e litorali, le attività umane si svolgono in stretta connessione con l’ambiente. Non semplice in un’area ad alta attrazione turistica – e spesso questa attrazione è data da spiagge attrezzate, sale giochi, luna park, musica punzi-punzi e grandi (e brutti) palazzoni affacciati direttamente sul mare che ospitano hotel e appartamenti per vacanzieri -, ma le due Regioni frontaliere ci stanno provando. Una maggiore consapevolezza turistica porta nella zona, soprattutto nei periodi di bassa stagione, un turismo più attento all’ambiente e alla natura. E quando questo si traduce in Pil di qualità, allora può provare competere anche con quello di massa. 

I fenicotteri che alle porte di Chioggia beccheggiano nell’acqua bassa non sanno nulla di prodotto interno lordo. Così come non lo sanno i gabbiani che si inseguono nella Sacca di Scardovari, un golfo che ospita un’immensa area di acquacultura che al tramonto regala colori e sfumature da cartolina (oggi si direbbe «instagrammabili»). O le rondini di mare e le tartarughe che nidificano sull’Isola dell’Amore, al largo di Goro.  Ma nel «ginepraio di fiumi che si articolano in affluenti e subarticolano in canali» e dove al Po si affiancano l’Adige, la Brenta il Sile e altri ancora,  la natura c’è, basta saperla cercare. «È vero che tutto cambia, come l’acqua dei fiumi, che un giorno ride chiara e trasparente e l’altro ringhia nera e vorticosa – scrive Malaguti -. Ma è anche vero che le cose, per altra via, resistono e sono dure a morire. Di nuovo come l’acqua, che resta sempre lei e fa sempre lo stesso giro».      

29 aprile 2024 ( modifica il 30 aprile 2024 | 13:29)

29 aprile 2024 ( modifica il 30 aprile 2024 | 13:29)