Pitbull, Rottweiler, Amstaff: le aggressioni non nascono dal nulla. Marchesini: «Ecco come prevenirle»

diAlessandro Sala  L'etologo e zooantropologo ha sollecitato mesi fa il ministero della Salute ad aprire un tavolo per delle linee guida sulle razze problematiche. Ma nessuno ha risposto. «I cani non sono tutti uguali, per alcuni servono proprietari preparati»

Questo post è stato originariamente pubblicato su questo sito

Due mesi fa Roberto Marchesini aveva scritto al ministro della Salute, competente in materia di veterinaria, sollecitando l’attivazione di un tavolo di lavoro per elaborare delle linee guida in materia di prevenzione di incidenti collegati a razze di cani potenzialmente problematiche. Le parole sono importanti e pure gli avverbi. Non tutti i Pitbull sono problematici. E neppure tutti i Rottweiler o tutti gli Amstaff. Ma queste razze, selezionate dall’uomo con finalità di difesa e di attacco (o anche di combattimento), e quindi non proprio come animali da compagnia, hanno tutte quante  caratteristiche che le rendono, appunto, «potenzialmente» problematiche se affidate a persone inesperte o inadeguate. Problematiche ma anche pericolose, come i tanti casi di cronaca dimostrano. Gli ultimi:  quello di Eboli, dove un bimbo di 13 mesi ha perso la vita dopo l’aggressione da parte di due Pit; e quello di Padova, in cui una anziana donna ha perso un braccio e un avambraccio per i morsi di quattro American Bully e Amstaff. 
Quella di Marchesini è però rimasta lettera morta. Nessuna risposta. Nessun contatto. Lui è etologo, filosofo, zooantropologo, saggista. È direttore della Scuola di interazione uomo animale (Siua) e del Centro studi di filosofia postumanista. Qualche cosa da dire, insomma, l’avrebbe, come dimostrano le decine di libri che ha pubblicato. Ma il tema, su cui più volte ha sollecitato un intervento a livello istituzionale, sembra non interessare mai. Fino a che la cronaca non lo riporta di estrema attualità.

Dott. Marchesini, ancora una volta facciamo i conti con una vita, in questo caso giovanissima, che se ne va a causa di un’aggressione domestica da parte di cani. Uscendo dal caso specifico, perché saranno le indagini a stabilire cause e responsabilità, c’è qualcosa che le istituzioni possono fare?
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Semplificando con una sola parola si potrebbe dire: prevenzione. Sappiamo che le razze di cani non sono tutte uguali. Sono state selezionate nel corso dei secoli per affiancare l’uomo in diverse attività: la caccia, la guardia, il lavoro. La selezione era finalizzata a  consentire loro di svolgere al meglio  una determinata funzione. Non tutte nascevano per diventare  animali da compagnia».

È questo il problema?
«Tutte le razze coinvolte in questi episodi hanno caratteristiche comuni. Ed è da qui che bisogna partire. Oltre che dal fatto che la parola “pet”, e tutta la cultura che le si è sviluppata attorno, è estremamente fuorviante, perché produce la tendenza a vedere il cane come se fosse un bambino. Per cui si pensa che non vi sia alcuna necessità di attenzioni di tipo etologico, di informazione, di prevenzione. Tutto sembra facile e intuitivo. E invece non lo è».

E questo cosa comporta?
«Intanto le persone trattando i cani come se fossero bambini negano loro la possibilità di esprimere i propri bisogni.  Non hanno possibilità di svolgere adeguata attività fisica, quando invece ne avrebbero un estremo bisogno, soprattutto nel caso di razze nate come da lavoro. Oggi ci troviamo spesso di fronte a bamboccini da appartamento tenuti in una situazione di costante inattività. Ma così diventano bombe ad orologeria. I cani non hanno bisogno solo di cibo, acqua, un tetto sulla testa. Hanno bisogno di movimento, di socialità, di perlustrazione del territorio. Solo così producono le endorfine che sono per loro degli anestetici naturali. L’inattività comporta invece ansia, distruttività, aggressività. Vale per tutti i cani, di razza o meticci. E vale ancora di più per razze selezionate per essere molto attive».

Il settore del pet care però è in grande crescita…
«Ci sono proprietari che spendono molti soldi per collarini griffati, copertine e cucce alla moda e altri accessori inutili. Si dice che certe persone vizino i cani, ma in realtà stanno viziano se stesse. Ogni volta che si vizia un cane in realtà lo si sta maltrattando, non gli si permette di essere se stesso. Non ci si prende più la briga di sapere cosa siano davvero un cane o un gatto e quali bisogni abbiano. Se voglio un Rottweiler, però, devo sapere cosa mi sto portando in famiglia. Ha delle caratteristiche con cui devo sapermi confrontare. Non è la stessa cosa accogliere in casa un Labrador o uno Shi-tsu oppure un Pitbull o un Amstaff».

Che sono cani più pericolosi…
«Non sono pericolosi in sé, lo diventano se finiscono nelle mani di persone che non hanno la consapevolezza di quello che fanno e neppure e la personalità adatta per essere buoni leader e per saperli gestire».

Ogni tanto si parla di creare delle black list di cani proibiti
«Non servono liste di proscrizione, c’è invece un grande bisogno di informazione. Si dovrebbe pensare ad un percorso di formazione per tutti coloro che vogliano cimentarsi con determinati cani. Non è possibile non conoscere le caratteristiche innate del nostro amico a quattrozampe. E non è possibile non saperle gestire. Perché se si sbaglia possono capitare gravi incidenti. Può accadere ovviamente anche con un Jack Russel, ma il suo morso non è paragonabile a quello di un molosso».

Quindi torniamo a parlare di patentino?
«Intanto non serve demagogia, come lo sarebbe un semplice elenco di razze. Servirebbero linee guida serie a livello ministeriale per la prevenzione delle aggressioni. E servirebbe che poi vengano applicate a livello locale. Non possono essere i singoli sindaci a decidere, serve una legge nazionale». Milano, ad esempio, prevede un corso di formazione per detentori di razze difficili. Ma al di fuori del capoluogo la norma già non vale più  e comunque siamo ancora lontani da una vera e propria formazione.

Come bisognerebbe procedere secondo lei?
«Partiamo dal concetto che se si vuole un certo tipo di cane si deve accettare di dover fare un percorso di formazione e poi di essere valutati. Promossi o bocciati insomma, non un passaggio pro forma. Questo percorso non deve essere solo teorico, ma anche e soprattutto pratico. Conoscere la storia della razza serve a poco, bisogna imparare a conoscere le caratteristiche del cane e sapere come avere il controllo delle sue reazioni una volta sul campo. Ovvero in strada, in mezzo alle persone».

Non sarebbe opportuno che lo facessero  tutti?
«Non serve per tutte le razze. Ma per quelle più problematiche, quelle che per caratteristiche fisiche o indole possono arrecare più danni, decisamente sì. Queste razze tendono già di loro ad avere bisogno di essere condotte da persone che hanno determinate capacità. Poi è fondamentale il tema dei controlli».

In che senso?
«Intanto bisogna sapere chi sono i proprietari di questi animali. A volte sono persone normalissime, semplici appassionati di queste razze. Ma spesso si tratta di persone un po’ ai margini, che vivono in aree degradate, bulletti che non vogliono un barboncino ma proprio un cane che possa incutere timore negli altri. Per questo le istituzioni, le Asl, devono potere andare a controllare tutte le famiglie in cui vive un cane di questo genere, per verificare che ve ne siano le condizioni. E a maggior ragione dovrebbero farlo quando i cani sono due o più. Molti incidenti mortali sono avvenuti in presenza di più esemplari, se non addirittura di piccoli branchi di 3 o anche 5 animali confinati in un giardino i in un appartamento. Se ci sono situazioni di potenziale pericolo, e questo significa pericolo pubblico, i cani vanno sequestrati senza timore. Se ben gestiti questi cani possono anche essere i migliori del mondo. Ma se affidati alle persone sbagliate sono come delle armi nelle mani di un bambino».

La lettera al ministero l’ha inviata in tempi non sospetti.
«Sì, almeno due mesi fa. Perché purtroppo altri casi di cronaca si erano verificati. E temo che altri se ne verificheranno se si continua a ignorare il problema. Oggi le banche dati ufficiali non hanno neppure dati certi e ben classificati sul numero di aggressioni e sulle loro conseguenze. È come se le assicurazioni per le loro valutazioni dei rischi di incendio dicessero cose tipo: “Sì, ogni tanto c’è qualche casa che va a fuoco”. Invece serve un monitoraggio serio, con numeri e statistiche».

E chi dovrebbe stilarle le linee guida per la prevenzione?
«Tutti i soggetti che hanno voce in capitolo. Il ministero stesso, i veterinari, gli educatori cinofili, gli addestratori, le associazioni che poi hanno a che fare con questi animali nei canili una volta che vengono rifiutati e abbandonati. Molti possono dire la loro, ma poi è il governo che deve fare la sintesi. Quando accadono episodi come quelli di cui si sta parlando in questi giorni c’è spesso un rimpallo di responsabilità tra vari soggetti. Invece servirebbe unire le forze e trovare il modo corretto per evitare che queste tragedie avvengano. E lo si può fare solo con la prevenzione. Ma occorre volerlo».

22 aprile 2024 ( modifica il 22 aprile 2024 | 17:40)

22 aprile 2024 ( modifica il 22 aprile 2024 | 17:40)