I misfatti degli italiani in RussiaL’ambivalenza tragica dei confini

La guerra in Urss di Raffaello Pannacci. E poi la pubblicità e la società dei consumi nei regimi di Bianca Gaudenzi. Le frontiere amichevoli del Touring e il disincanto di Dodds

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Come combatterono e morirono gli italiani nella Seconda guerra mondiale più o meno lo sapevamo. Sapevamo abbastanza anche della crudeltà (inevitabile?) della repressione antipartigiana nei Balcani. Poco o nulla invece ci era noto di che cosa realmente fu — al di là di una tragica ritirata oggetto di mille testimonianze — la nostra presenza in Russia nei due anni precedenti. Lo racconta finalmente, con una vasta documentazione e grande accuratezza questo libro di Raffaello Pannacci (L’occupazione italiana in Urss 1941-1943, Carocci, pagine 310, euro 35). In Russia, dove peraltro accorsero parecchi volontari, non fummo per nulla «italiani brava gente». Non come i tedeschi, certo, ma comunque cercammo di portare via tutte le materie prime, le attrezzature e i raccolti facendo morire di fame la popolazione; fucilammo nemici prigionieri e feriti; facemmo commercio di donne e di tutto il possibile; requisimmo senza indennizzo; ammazzammo qualche ebreo e ancora di più ne consegnammo ai nazi. Una sporca guerra insomma: come del resto quasi sempre.

Ciò che irrita nel libro di Bianca Gaudenzi (Fascismi in vetrina. Pubblicità e modelli di consumo nel Ventennio e nel Terzo Reich, Viella, pagine 321, euro 29), oltre un certo oltranzismo antifascista (davvero solo in Italia e Germania si adoperò il corpo femminile ad uso commerciale?), è un certo provincialismo snobistico: cioè come se in Italia (ma non solo, come dirò) sul fascismo non si fosse scritto mai nulla. La tesi è perentoria: attraverso lo studio della pubblicità mettere in luce come «il richiamo a una vagheggiata società dei consumi di stampo fascista e nazista divenne fondamentale nel tentativo di normalizzare alcuni degli aspetti più brutali dei due regimi». Per questa via, dunque, indagare l’oscuro rapporto tra fascismo e modernità. Ma si può affrontare un tema del genere senza citare neppure una riga di De Felice o di Gentile, ma anche di Mosse, di Nolte, di Sternhell, e invece esclusivamente una bibliografia anglo-tedesca rigorosamente «postcoloniale»?

Sia consentito a un vecchio socio (tra pochissimo cinquantennale!) del Touring Club Italiano forzare un po’ il perimetro di questa rubrica per annunciare l’uscita di Confini (pagine 191, euro 19,50), il primo numero di «Mappe». Si tratta di una nuova rivista trimestrale del Touring, in forma di libro, ideata e curata dal nuovo direttore editoriale Ottavio Di Brizzi, ed è un segno di rinascita. Vale a dire di una rinnovata presenza dell’antico sodalizio nelle pubblicazioni di qualità che si occupano di curiosità geografiche, del tema del paesaggio e del viaggio nella più ampia accezione di questi termini; e, proprio come «Mappe», lo fa con fantasia, intelligenza, ricorrendo anche alla graphic novel. Peccato soltanto che nelle due introduzioni di questo numero si debbano leggere circa il significato del termine confine le solite uggiose banalità dettate dal conformismo cosmopolita in voga: puntualmente smentite, il caso vuole, dal drammatico Guerre di confine di Klaus Dodds appena uscito da Einaudi (traduzione di Alessandro Manna, pagine 334, euro 32). Che parla di quella brutta cosa che è la realtà: altro che l’amichevole «ti sono vicino» attribuito al termine da «Mappe»!

19 aprile 2024 (modifica il 19 aprile 2024 | 20:02)

19 aprile 2024 (modifica il 19 aprile 2024 | 20:02)