«Pitbull pericolosi se gestiti male. Serve una formazione obbligatoria per i padroni»

diAlessandro Sala  L'etologo Roberto Marchesini: «Occorrono linee guida valide per tutta Italia. E le forze dell'ordine facciano i controlli e confischino gli animali a chi non è idoneo ad accudirli». E sul «patentino»: «La preparazione va fatta sul campo, non  con videolezioni»

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Basterebbe partire dal nome: Pitbull. Che deriva da «pit», termine inglese che descrive la fossa, l’arena dei combattimenti; e dal Bulldog, che prima della recente trasformazione in cane da compagnia era utilizzato per gli scontri con i tori e per affiancare gli eserciti negli assalti. Oggi un Pitbull può anche essere docile e mansueto, se gestito nel modo corretto. Ma le sue motivazioni di razza, le sue caratteristiche innate, possono sempre tornare a farsi sentire, a volte con conseguenze nefaste. 

L’ultimo caso di cronaca — la morte di un bimbo di 13 mesi sbranato da due Pitbull nel Salernitano — sta a dimostrarlo. Si parla di Pitbull. Ma anche di Rottweiler, Amstaff, Dogo argentino. Anche il Pastore maremmano abruzzese, bianco e peloso come un orso polare che ti viene subito voglia di accarezzarlo, può essere letale se lo si affronta nel modo sbagliato nel suo territorio, dove tiene testa anche ai lupi. 

Insomma, non propriamente animali adatti alla vita in città. Eppure, le città ne sono piene. «Consideriamo i cani come dei figli e crediamo che non ci potranno mai fare del male — sottolinea Roberto Marchesini, etologo e zooantropologo —. Pensiamo che averne cura sia qualcosa di spontaneo e naturale, che non ci sia alcunché da imparare. Non è così. Vale per tutte le razze, a maggior ragione per quelle problematiche».

Non le definisce pericolose.
«In sé non lo sono. Lo diventano, però, se vengono gestite male, da persone che non sono in grado di occuparsene. Perché non hanno le competenze. O perché non hanno il carattere per essere il leader di cui certi cani hanno bisogno».

Molti le scelgono. Perché?
«Qualcuno perché davvero appassionato e competente, che si rivolge a un allevatore serio e non compra il cane su Internet o in una cantina di periferia. Ma spesso questi animali sono al fianco di soggetti marginali, che considerano certe razze uno status symbol di potere e che vogliono incutere timore».

Vietare queste razze?
«Sarebbero impossibili delle verifiche. Toppi gli esemplari già in circolazione. E poi ci sono gli incroci. Piuttosto si lavori sul piano culturale, oggi non servono cani aggressivi per la guardia o la guerra. Gli allevatori possono dare un contributo, selezionando esemplari più docili».

E le istituzioni?
«Asl e forze dell’ordine devono fare i controlli, appurare che gli animali abbiano il microchip. Diano multe a chi circola senza guinzaglio e senza museruola dove prevista. E vadano a casa di chi di cani ne ha più di uno, lì i rischi sono maggiori. E se non ci sono le condizioni di idoneità, si confischino gli animali».

Lei ha scritto su questi temi al ministro della Salute.
«Ho chiesto di convocare un tavolo di esperti per definire linee guida valide su tutto il territorio nazionale. Per esempio rendendo obbligatoria l’assicurazione, che sarebbe una forma di ulteriore controllo. E ovviamente la formazione di chi voglia cimentarsi con le razze più difficili».

Il famoso «patentino»…
«Lo si chiami come si vuole. L’importante è che sia una formazione vera, sul campo. Non un corso teorico o in video lezione, come avviene nei pochi casi in cui già prevista. Bisogna saper gestire il cane in strada e tra la gente».

Gli ultimi casi di cronaca si potevano prevenire?
«Probabilmente sì. Usciamo dal degrado cinofilo dato dalla negligenza di proprietari e istituzioni. Di certo iniziando a fare qualcosa se ne potranno prevenire altri».

24 aprile 2024

24 aprile 2024