Laura Wronowski, anima ribelle: in edicola con il «Corriere» il volume di Zita Dazzi sulla partigiana

di JESSICA CHIA Dal 25 aprile per un mese con il quotidiano il libro sulla vita della combattente antifascista: parente di Giacomo Matteotti, entrò nella Resistenza a 19 anni. Un esempio del contributo femminile alla conquista della democrazia

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«La nostra è sempre stata una famiglia antifascista e io sono nata con l’anima “di traverso”, cioè in opposizione, non sono una persona accomodante. Sono una ribelle piuttosto. Una partigiana, appunto. Io». Laura Fabbri Wronowski (Milano, 1924-2023) sapeva che non bastava essere una convinta dissidente per venire presa lassù in montagna, unica donna fra tutti quei maschi. Ci volevano i muscoli per correre, un fisico atletico per macinare chilometri in bicicletta; poca paura nel cuore, e saper tenere la bocca chiusa. Diventata partigiana a 19 anni nella Brigata Giustizia e Libertà «Giacomo Matteotti» (nome di battaglia: «Kiky»), la vicenda di Laura s’intreccia non solo con quella della Resistenza combattuta sui monti liguri, ma anche con quella della storia politica d’Italia.

La racconta la giornalista Zita Dazzi (Milano, 1965) in Con l’anima di traverso, volume in edicola da giovedì 25 aprile per un mese con il «Corriere», che ricostruisce la vicenda di Wronowski attraverso una narrazione che si rivolge prima di tutto ai lettori più giovani. Dazzi immagina infatti l’incontro tra Tecla, impegnata con l’esame di quinta superiore, e la sua vicina del piano di sotto. E da quella conoscenza fortuita nascerà la tesina di maturità della studentessa, scritta sulla testimonianza della sua nuova, anziana amica. Tecla è una giovane donna ancora in divenire, che ha tante cose da imparare dai racconti di Laura: per esempio, che il futuro di una ragazza della sua età oggi può essere «scontato»; che nessuno può ucciderla per le sue idee, che può sognare un amore appena sbocciato, senza che una raffica di proiettili alla schiena glielo porti via.

Nata a Milano nel 1924, Laura era figlia di Casimiro Wronowski di Lakodovicz, nato in Dalmazia, e poi divenuto giornalista al «Corriere» (che lasciò dopo la cacciata, da parte dei fascisti, dell’allora direttore Luigi Albertini). Ed era la nipote di Giacomo Matteotti: sua madre Anita Titta era sorella di Velia, che sposò il deputato antifascista rapito e assassinato dai sicari del Duce nel 1924. Laura era nata sei mesi prima che Matteotti fu ucciso, ma quell’assassinio cambiò la storia della sua famiglia che, isolata da tutti, è costretta a lasciare Milano ed emigra in Liguria: «Nessuno voleva avere a che fare con i Wronowski che vivevano con i figli di Matteotti. Quello era un rischio che gli italiani non volevano correre». E nella vita di Laura c’è anche Ferruccio Parri, futuro capo del governo subito dopo la Liberazione, che lei ricorda come «uno dei padri fondatori della patria, è stato il mio padrino, la mia guida quando ero giovane. Lavorava con mio padre al “Corriere”. E dovette andar via perché non si piegava alla censura fascista».

«Va bene a tutti quell’Italia ordinata e severa. Ma a Laura no. Lei è diversa. È arrabbiata, preoccupata. Gli occhi chiusi su quelle braccia tese, le orecchie sorde alle marcette. A lei hanno insegnato che tutto quel che sta accadendo è sbagliato». E così, in Liguria, entra nel tessuto della Resistenza: è il 1943 quando sale al paesino di Moconesi, nella valle di Fontanabuona (Genova), dove inizia a fare la staffetta informatrice e l’infermiera tuttofare, armata di Sten. E alla partigiana «Kiky» il coraggio non manca, fin dai primi passi («andai dal mio comandante, nome di battaglia “Furia”, e gli dissi che ero pronta a fare tutto quello che facevano i maschi»). Ma anche lei conosce lo strazio della perdita: la morte del ragazzo di cui si era innamorata prima che salisse in montagna. Si chiamava Sergio Kasman, «Marco», capo della brigata di Giustizia e Libertà a Milano. Venduto da una spia, fu freddato alle spalle in un agguato in piazzale Lavater, in una gelida giornata del 1944. Sergio (medaglia d’oro alla memoria) aveva 24 anni e tutta la vita davanti. Ma in guerra il futuro non esiste, la sensazione della fine imminente è il sentimento che prende a morsi tutti.

Come Laura, sono state tante le donne nella Resistenza. Quello che oggi colpisce delle poche sopravvissute è che ognuna di loro ha scelto di combattere senza appellarsi al «coraggio», al «sacrificio» (rischiavano le torture, gli stupri, la morte), ma tutte parlano di una risposta «naturale», quasi un dovere: erano mosse da un’ideale così grande che oggi si fa quasi fatica a tradurre in azione, protetti dai nostri diritti «naturalmente» inalienabili. Andava fatto, ci raccontano, era necessario per il bene di tutti. «“Ma te la senti? Se ti prendono ti ammazzano, ammazzano tua mamma, la tua famiglia…”. Pazienza, ho risposto — dice in una videointervista al «Corriere» pubblicata sul canale
Donne partigiane
Vega Gori, staffetta nello Spezzino, oggi 98enne —, qualcosa bisognerà pur fare. E così ho cominciato». Anche Flora Monti, partigiana a 13 anni sui monti Bolognesi, oggi 93 anni, ha raccontato: «Vi dirò, io paura proprio non ne ho avuta, si vede che avevo incassato la storia di mio nonno (perseguitato dai fascisti, ndr) e mi sembrava di avere il dovere di fare qualcosa per quello che aveva subito, lo facevo volentieri». E Iole Mancini, dai suoi 104 anni, partigiana torturata nelle carceri di via Tasso a Roma da Erich Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine, ha ricordato il ruolo della presenza femminile in guerra: «Quello che le donne hanno fatto in tutta Italia è stato eroico. Portavano le notizie, portavano da mangiare, i vestiti, curavano i feriti. Guai se non ci fossero state le donne. La Resistenza non avrebbe avuto il risultato che ha avuto».

La storia di Laura e di tutte le altre partigiane d’Italia ci ricorda il ruolo delle donne in questa guerra di tutti. Laura, Vega, Flora e Iole da quelle montagne e da quelle carceri sono tornate. Ma la nostra Costituzione, come disse Piero Calamandrei nel suo discorso agli studenti (1955) è nata là dove i partigiani sono caduti. Ragazzi, alcuni poco più che bambini, che hanno sacrificato il loro futuro per i posteri: «Pochi considerano quanta fatica costò arrivare ad avere quella Carta che Parri scrisse con gli altri padri della democrazia. Pochi sanno quante vite e quanto dolore c’è voluto per conquistare quello che oggi diamo per scontato. È il rammarico che abbiamo noi vecchi, di questi tempi».

Il volume a 8,90 euro in edicola per un mese con il «Corriere»

Esce giovedì 25 aprile in edicola con il «Corriere della Sera» il romanzo di Zita Dazzi Con l’anima di traverso. La storia di resistenza e libertà di Laura Wronowski, in vendita al prezzo di euro 8,90 più il costo del quotidiano. Si tratta di un’iniziativa volta a celebrare il settantanovesimo anniversario della Liberazione dell’Italia dall’oppressione nazifascista. Il libro, che resta in edicola per un mese, racconta l’esperienza partigiana di Laura Wronowski (1924-2023): cresciuta in una famiglia antifascista (sua madre e la moglie di Giacomo Matteotti erano sorelle), amica e allieva del leader azionista Ferruccio Parri, a soli diciannove anni era entrata nei ranghi della Resistenza e aveva partecipato a diverse azioni della lotta contro gli occupanti tedeschi e i loro alleati fascisti della repubblica di Salò. Nella sua vicenda umana e politica si riflette quella di un’intera generazione di giovani — a volte già ribelli come Wronowski, a volte digiuni di politica e cresciuti sotto l’influenza del regime littorio — che di fronte al disastro dell’8 settembre 1943 e al calvario dell’Italia sotto il giogo tedesco scelsero di non farsi da parte, ma di impegnarsi a rischio della vita per assicurare al Paese un futuro migliore. Se oggi viviamo in una democrazia, per quanto imperfetta e instabile, se godiamo dei diritti fondamentali riconosciuti a tutti i cittadini dalla Costituzione repubblicana, lo si deve in primo luogo a coloro che impugnarono le armi per la libertà nel terribile periodo in cui l’Italia si trovò spaccata in due, campo di battaglia tra eserciti stranieri. Senza il loro contributo di sangue, la rinascita del Paese dopo la guerra disastrosa voluta dal fascismo sarebbe stata molto più difficile.

23 aprile 2024 (modifica il 23 aprile 2024 | 21:59)

23 aprile 2024 (modifica il 23 aprile 2024 | 21:59)